Che fine fanno le nostre vecchie auto?

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LECCE (di Valentina Anglani) – Europa, Stati Uniti e Giappone sono i paesi più all’avanguardia, continuamente aggiornati e pronti alle innovazioni. Sempre più spesso sentiamo pubblicizzare nuove auto sempre più raffinate e tecnologiche, dotate di ulteriori strumenti che ne facilitino l’utilizzo o le rendano più belle. Negli ultimi anni, inoltre, si sta cercando di renderle il meno inquinanti possibile, basti pensare alle auto ibride o elettriche. Ma dove finiscono le auto di cui ci sbarazziamo?

Tutti i veicoli che per noi sono ormai superati, come quelli a diesel, vengono spediti in Africa. Dal 2015 al 2018 sono state spedite più di 14 milioni di auto vecchie e pericolose. L’Europa è al primo posto tra i paesi esportatori di auto ormai ritenute non idonee in occidente, inviate principalmente in Nigeria (quasi 240 mila solo nel 2018), dove non ci sono regole efficaci su veicoli non inquinanti e poco sicuri, come d’altra parte anche nel resto dell’Africa. Questi veicoli vengono spesso spediti smontati, ad esempio vengono spediti prima le marmitte catalitiche usate e carburanti di pessima qualità, che possono essere pericolose sia per l’ambiente che in modo più diretto per le persone.

Il continente tra l’altro non è dotato di strade e infrastrutture paragonabili a quelle di altre zone del mondo e per questo le città si affollano di auto provocando nubi di gas tossici. Questo fenomeno nei confronti dell’Africa prede il nome di “dumping ambientale”, destinato ad incrementare l’inquinamento dell’aria, che non è circoscritta al continente africano, ma danneggia l’intero pianeta. Il settore dei trasporti è responsabile di quasi un quarto delle emissioni di gas serra e per questo Egitto, Marocco, Sudan e Sud Africa hanno proibito completamente l’importazione di veicoli usati, mentre gli altri stati hanno introdotto limiti di anzianità (come 3 anni per l’Algeria e 15 per la Nigeria).

Sperando che queste decisioni vengano rispettate e non continuino simili esportazioni per vie illegali, riflettiamo che dovrebbe partire proprio da noi la considerazione di non inviare ad altri paesi cose che possano danneggiarli e che tra l’altro danneggeranno ugualmente anche noi.