“Nomofobia”, il timore di rimanere sconnessi

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LECCE (di Letizia e Lucrezia Prete) – Telefonare, inviare sms ed e-mail, chattare, fotografare, navigare in internet o utilizzare centinaia di applicazioni sono azioni abituali che plasmano la nostra mente e che determinano la cosiddetta sindrome da disconnessione. Viene indicata col sostantivo femminile nomofobia, ossia la paura di rimanere sconnessi dal segnale di rete della telefonia mobile. Il prefisso no-mo(bile) formato col suffisso -fobia è stato coniato da Stewart Fox-Mills, studioso di un ente di ricerca del settore telefonia del Regno Unito.

Il termine si inserisce nella più larga ed estesa tipologia delle new addictions (nuove dipendenze), in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica (droga, alcol, farmaci), ma l’oggetto della dipendenza è rappresentato da comportamenti o attività dell’affascinante e sconfinato mondo dei dispositivi elettronici. Tali comportamenti in alcuni individui possono assumere caratteristiche patologiche, fino a invalidare l’esistenza del soggetto stesso e il suo sistema di relazioni, provocando quindi gravissime conseguenze.

Ma è una dipendenza patologica o disturbo d’ansia? Essa viene descritta da alcuni studiosi, esattamente come un’ansia da separazione, poiché la paura di essere separati da uno smartphone per danni, o per esaurimento della batteria, copertura e credito o per la perdita di dati o connessione Internet, genera nel nomofobico una vera e propria ansia, nel senso psicologico del termine.

Altri studiosi, nonostante nel nome appaia la sigla “fobia” e che i sintomi siano molto affini a quelli dell’ansia, ritengono che sia una dipendenza patologica piuttosto che un disturbo d’ansia. I ricercatori avrebbero infatti sperimentato che una terapia mirata a ridurre l’ansia, non sia adeguata nel trattamento della nomofobia e che i soggetti affetti da questo tipo di psicopatologia rispondano meglio ad un trattamento specifico per le dipendenze patologiche. La dipendenza dalle nuove tecnologie è sicuramente in fase di crescita, ma purtroppo viene spesso confusa con situazioni psicopatologiche diverse.

Ma chi sono i soggetti a rischio? Secondo alcuni sondaggi, la nomofobia si verifica in una percentuale più alta negli uomini rispetto alle donne e le statistiche indicano che la maggior parte degli utenti potrebbe già avere la nomofobia senza saperlo o essere incline a sentire i suoi effetti. Su un campione di 500 persone di età compresa tra i 15 e i 50anni, il 51% dei ragazzi tra i 15 e i 20 anni ha difficoltà a prendersi una pausa dalle nuove tecnologie tanto da arrivare a controllare in media lo smartphone 75 volte al giorno. In particolare, il 49% degli over 35, non sa stare senza cellulare e verifica di continuo sui propri device se sono arrivate notifiche, almeno 43 volte al giorno, fino a picchi di 65 volte al giorno.

Non bisogna neanche minimizzare l’impatto che la tecnologia può avere sui bambini, i quali passano sempre più tempo con strumenti informatici.Sono i bambini cosiddetti digitali, termine foggiato per indicare la generazione di bambini cresciuta nell’era del computer, tra smartphone, tablet, ADSL e Internet mobile, touchscreen e app. Il pericolo non è tanto per l’utilizzo precoce di questi dispositivi, i quali possono essere anche utilizzati come un’arma per potenziareconoscenze e competenze del bambino, quanto piuttosto il prolungato utilizzo di tablet e smartphone che potrebbe portare ad un indebolimento eccessivo della vista e al rischio che il piccolo si isoli psicologicamente creandosi un mondo parallelo popolato solo da spazi e personaggi non reali, perdendo così il contatto e l’interesse verso le cose che lo circondano.

Cosa fare? Stacchiamo la spina! La dipendenza dalla tecnologia è dunque inarrestabile e forse ciò è un normale segno del progresso, ma ogni tanto è bene ricordarci che siamo esseri umani anche senza un cellulare tra le mani.Il telefono cellulare se usato in modo appropriato e intelligente può assolvere ad alcune importanti funzioni:

  • regola la distanza nella comunicazione e nelle relazioni,
  • gestisce la solitudine e l’isolamento assumendo quasi il ruolo di antidepressivo multimediale;
  • permette di vivere e dominare la realtà

Lo smartphone, infatti, ha modificato strumenti, luoghi, modalità di lavoro ed è diventato un oggetto su cui canalizzare uno stato di disagio affettivo, relazionale e lavorativo. Ma dobbiamo tenere bene a mente che il rapporto con il cellulare è potenzialmente pericoloso per qualunque persona.

Uscirne non è impossibile, basta volerlo. La prevenzione delle corrette relazioni digitali tra “strumenti e persone” dovrebbero costituire la base per un percorso di media education, volto ad informare ed educare all’uso dei dispositivi digitali.

L’utilizzo sbagliato ed improprio del telefonino mobile potrebbe provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche sviluppare insicurezze relazionali e sentirsi persone inadeguate. Pertanto, è importante autogestirsi ad un rapporto bilanciato, armonioso e misurato con il telefonino, concedendosi ogni tanto una sospensione dalla sua presenza incoraggiante e rasserenante,ricordandosi che forse una vita vissuta concretamente è più appagante di una vita solo vagheggiata.