Il Ninfeo delle Fate

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I ninfei nascono come edifici sacri dedicati a una ninfa (da qui prendono il nome) e in genere sorgono presso una fontana o una sorgente d’acqua. Nel mondo greco-romano si parlava di ‘’luoghi d’acque ‘’, ovvero strutture caratterizzate da vasche e piante acquatiche, dove ci  si poteva  rilassare e sostare, preparare banchetti e trascorrere momenti di otium. Era un’opera urbana con getti d’acqua a più piani collocata nel punto terminale dell’acquedotto.

 

A Lecce verso la fine del 500’ sono stati realizzati dei ninfei che rispecchiano la moda del tempo, infatti nascono con l’intento di ricostruire artificialmente nei giardini signorili un’‘’angolo’’ di civiltà greca. Erano collocati nelle dimore di campagna della nobiltà intellettuale che sentiva il fascino del mondo classico di cui riproponeva la mitologia ispirandosi principalmente alle “Metamorfosi” di Ovidio.

I ninfei presenti a Lecce sono il Ninfeo nel giardino del convento dei frati di Fulgenzio, il ninfeo di Belloluogo, scoperto nel 700’, infine il Ninfeo della masseria Tagliatella presso le cave di Marco Vito.

Il primo è compreso nella villa suburbana di Fulgenzio della Monica, ora sede della biblioteca Caracciolo. La costruzione del complesso ebbe inizio nel 1560, quando fu arricchita da belli e spaziosi giardini di aranci, artificiose fontane e freschissime grotte, opera di Gian Giacomo dell’ Acaja . Ciò che più colpisce l’attenzione è il ninfeo, ricavato dal banco roccioso: un ampio ambiente rettangolare coperto da volte a padiglione e dotato di un camino, necessario per l’ambiente riscaldato chiamato calidarium.

La sala per le immersioni è dotata di una vasca circolare e decorata con conchiglie disposte a mosaico che rappresentano personaggi mitologici come la Chimera, Poseidone, Bellerofonte che cavalca Pegaso e una sirena bifida. Questo si caratterizza come una specie di santuario laico, inteso come luogo di ristoro e di meditazione.

 

Il ninfeo delle fate, invece, risale al XVIII secolo e si trova in una zona periferica della città di Lecce nella masseria Tagliatelle, una cinquecentesca dimora nobiliare.

Questo bene architettonico è ricavato in un banco roccioso, infatti, si trova in una vecchia cava di pietra leccese, meglio conosciuta come ‘’cave di Marco Vito ‘’ .

Il recupero è stato molto difficile, a causa del necessario intervento di consolidamento del banco calcarenitico. Solo il lavoro di bonifica dai rifiuti accumulati nel corso del tempo è costato 80 mila euro. Il restauro ha consentito di preservare alcuni elementi caratterizzanti come pavimentazioni, archi, portali, affreschi, cisterne per la raccolta dell’ acqua.

Nonostante il grande sforzo manca ancora molto per terminare il lavoro, in quanto il luogo fin ora è stato solo messo in sicurezza.

Dalla lettura dei disegni di rilievo s’intuisce che l’impianto planimetrico della fabbricato è diviso in due ambienti: il primo ad aula rettangolare che misura in lunghezza m.9.80 x 4.70 in larghezza. Qui si possono scorgere undici nicchie mentre la dodicesima è coperta da un muro posticcio di sostegno. Sul lato sud-ovest abbiamo cinque nicchie: tre contengono due statue mentre le due restanti presentano solo raffinate decorazioni. Sul lato nord-est sono poste sei nicchie: in tre si scorgono le ninfe, in due solo semplici decorazioni e nell’ultima i gradini che immettono in un ambiente circolare sottoposto.

Queste figure femminili sono state direttamente scolpite in altorilievo nel banco di pietra leccese e misurano in altezza m.1.70 e circa 50 cm in larghezza.

Lungo tutto il perimetro dell’ambiente corre un gradino-sedile ricavato nella pietra leccese al di sotto del quale sono poste due canalette che servivano per fare scorrere l’acqua.

La copertura è una pseudo-cupola (del tipo a campana) ed è interamene ricavata dal banco roccioso, in alto si può notare un fregio e al suo centro è posto un foro che dava aria a luce all’ambiente.

Questo edificio presenta un alto grado di umidità ascendente che purtroppo ha causato una degradazione del materiale lapideo, facendo perdere a tutte le decorazioni in alto rilievo la loro connotazione originaria .

  
di Delfina Du Marteau e Francesco Laporta