Campi di rieducazione in Cina 

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 LECCE (di Valentina Anglani). LCina ha ormai superato il numero di vittime dell’Olocausto. Fino al 2018 il governo dello Xinjiang, regione autonoma nel nord-ovest della Cina, negava la presenza dei campi di rieducazione”, nell’ottobre del suddetto anno li ha invece legalizzati.  Già dalla metà del 900 questa regione era meta di immigrazione da parte di altri cinesi Han e ciò ha portato allo sviluppo di vari conflitti interni con la popolazione locale. Qui i controlli delle forze dell’ordine sono divenuti ancora più stringenti, perché si è diffusa l’idea che dallo Xinjiang partissero la maggior parte degli attacchi terroristici di matrice islamica. Da ciò, probabilmente già dal 2014, è derivata l’istituzione di questi “campi di rieducazione”, i quali avevano l’obiettivo di “liberare” la popolazione dalla tendenza all’estremismo, imparando una nuova cultura approvata dal governo generale. 

In realtà l’organizzazione di questi campi è ben diversa da quella che il governo vuole far credere, sono state infatti raccolte innumerevoli testimonianze di giovani costretti al lavoro forzato all’interno di fabbriche per più di 13 ore, a correre ogni mattina presto e cantare Without the Comunist Party There Can Be No New China”. Per non parlare delle innumerevoli violenze a cui sono soggette le donne, costrette addirittura a prendere pillole e a subire iniezioni sterilizzanti. 

Secondo una dichiarazione rilasciata da Tursunay Ziawudun, che ora si trova negli Stati Uniti dopo 9 mesi  in uno di questi centri, di notte le donne venivano portate in una stanza buona e priva di telecamere, torturate, violentate da più uomini e minacciate affinché non parlassero. Questa donna era stata arrestata nel 2016 dopo aver preso parte a una manifestazione pubblica, cui proprio le forze dell’ordine pare abbiano incitato la partecipazione, probabilmente per avere un pretesto per arrestare un maggior numero di persone. 

È deplorevole come nel ventunesimo secolo siamo nuovamente davanti a dei veri e propri campi di sterminio e nessuno muova un dito per cambiare la situazione. Oltre al governo alla Cina, che tenta di mascherare queste azioni, i governi degli altri Paesi sono senza dubbio a conoscenza di questa situazione da lungo tempo; eppure è bastato cambiare il nome a questi luoghi di tortura per mettersi la coscienza a posto. Alcuni preferiscono credere ciecamente a ciò che viene dichiarato dalle forze armate locali, altri si disinteressano perché “troppo lontani” e intanto la storia si ripete e le persone continuano ingiustamente a morire.