Racconti in arte: il fumetto

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LECCE (di Sofia Martella) – Il fumetto è certamente uno dei mezzi di comunicazione di massa moderni più interessanti, anche per la sua collocazione al confine tra arti visuali e letteratura. Il suo linguaggio infatti ha una vasta gamma di possibilità semantiche ed espressive e si fonda sulla stretta interdipendenza tra immagine disegnata e testo scritto, che possiamo assimilare al genere della “letteratura disegnata”. Utilizzato principalmente a fini narrativi, in realtà il fumetto può essere utilizzato anche per scopi non narrativi (ad esempio per una ricetta di cucina, o per realizzare il libretto di istruzioni di un apparecchio). Un esempio concreto di uso non narrativo del fumetto è il volume “Capire il Fumetto – L’arte invisibile”, saggio scientifico realizzato interamente a fumetti da Scott McCloud.

Esempi di primi fumetti sono i graffiti preistorici. Infatti, non sono in pochi a sostenere che opere come la colonna Traiana, o affreschi e mosaici che adornano chiese e palazzi, altro non sono che forme di “protofumetto”. Un caso esemplare che viene spesso portato a sostegno di tale tesi è il cosiddetto “fumetto” di San Clemente, affresco che si trova nella Basilica romana di S. Clemente, in cui le parole pronunciate dai personaggi, anche se prive di balloons, fuoriescono dalle bocche degli stessi.

Considerando che, ancora prima della nascita di “Yellow Kid”, numerose erano le riviste che pubblicavano storie in immagini con didascalie, molti studiosi tentano di anticipare la data di nascita del fumetto. Quest’ultima è frutto di una convenzione storiografica dovuta in gran parte al libro di Coulton “Waugh The Comics”, del 1947, in cui si sostiene che l’arte del fumetto sia nata con il personaggio di Outcault, il famoso “bambino giallo” dall’aspetto caricaturale, che posizionato all’interno di grandi tavole illustrate, dialoga attraverso balloons (palloncini o nuvolette di fumo contenenti parole, da cui deriva il termine italiano “fumetto”).

Non pochi studiosi appoggiano la tesi di Coulton, il quale ritiene sensato considerare “Yellow Kid” il primo fumetto della storia, in quanto, nonostante le molte storie per immagini e didascalie e i tanti personaggi disegnati pubblicati in passato avessero già un linguaggio sviluppato, essi non furono in grado di generare quel fenomeno culturale, editoriale e di costume che sarebbe diventato il fumetto a partire da “Yellow Kid” appunto. È infatti con il “bambino giallo” che la stampa statunitense comincia a puntare su questo nuovo modo di comunicare e sarà proprio questo nascente fenomeno editoriale che dagli Stati Uniti verrà esportato in tutto il mondo negli anni successivi.

Fumetti dei primi vent’anni abbracciano molti temi: le birichinate dei bambini monelli (i già citati “Bibì e Bibò”, i personaggi di Feininger, “Buster Brown”); le avventure divertenti di animali (gli orsacchiotti di Swinnerton) o di animali e persone, come “Maud”, la mula di Opper, chiamata “La Checca” in Italia, o il cane di “Buster” (“Mimmo” in Italia), le peripezie degli adulti che combinano gaffes, come “Alphonse and Gaston” di Opper, o i sogni meravigliosi come nel “Little Nemo” di McCay. Il linguaggio è generalmente colloquiale e le storie si rivolgono alle famiglie incentrandosi prevalentemente sul rapporto bambini-adulti, interpretato in chiave umoristica, e si concludono con la “morale” della storia raccontata.

Nel periodo che va dal 1918 al 1948, il fumetto pubblicato sui giornali diventa negli Stati Uniti un’istituzione praticamente quasi obbligatoria. Di fatto ogni quotidiano ha bisogno, per vendere, di inserire al proprio interno uno spazio dedicato al fumetto, così da consentire a tutti i cittadini l’accesso a tale nuovo mezzo verbo-visuale di comunicazione e di intrattenimento.

Fino al secondo dopoguerra, il sistema dei generi funziona a pieno ritmo: i temi dei fumetti per bambini sono gli stessi d’inizio secolo; per i ragazzi, invece, il genere avventuroso è quello più utilizzato; i fumetti per la famiglia, infine, conservano i temi legati ai problemi di coppia, al lavoro e ai figli.

Lo stile figurativo, rispetto agli anni Venti, cambia totalmente in quanto diviene più realistico e a volte drammatico. Lo stile del fumetto del passato, invece, basato sulla caricatura dei cartoon umoristici, limitava i contenuti del mezzo in quanto, proprio perché disegnati in maniera caricaturale, i personaggi sarebbero sembrati poco credibili in ruoli drammatici.

Nel secondo dopoguerra il sistema dei generi, per una serie di ragioni, entra in crisi, poiché i problemi economici del dopoguerra piegano ogni settore ed ambito economico, sociale e culturale del territorio italiano. Tutto ciò porta, di conseguenza, alla contrazione di alcuni settori, fra cui quello del fumetto, defalcato a poco a poco dai giornali, anche a causa dei nuovi media, in particolar modo la televisione con i suoi cartoni animati e serial tv.

Ma forse una delle ragioni principali della crisi del sistema dei generi è da collegarsi alla nascita di una nuova forma di fumetto, il Comic Book (letteralmente libro contenente comics, cioè fumetti), consistente nella raccolta delle avventure di un personaggio popolare all’interno di un unico libro.

Nel 1930 esordì in Italia il memorabile fumetto di “Topolino” che sta per “Topo Lino”, in inglese Mickey Mouse, disegnato da Walt Disney. Si tratta di un simpatico topolino che con le sue avventure, accompagnato col passare degli anni dai suoi amici, tra cui Minnie (la sua versione femminile), Paperino, Pluto etc. ha entusiasmato tutte le generazioni di ogni tempo.

La data simbolo è quella del 1938, l’anno cosiddetto “dei supereroi”, in cui appare “Superman” nel numero 1 del comic book di “Action Comics”. In seguito sul numero 27 della rivista “Detective Comics” del maggio 1939 fa il suo esordio il Cavaliere Oscuro “Batman”.  Un anno dopo verrà dato alle stampe “The Spirit” di Will Eisner, supereroe dai toni caricaturali e graficamente rivoluzionario, che successivamente ispirerà migliaia di fumettisti e registi, Frank Miller in primis.

Nel 1941 nacque un fumetto per molti rivoluzionario, quello di “Wonder Woman”, creata dal professore William Moulton Marston noto anche con lo pseudonimo di Charles Moulton. The Wonder Woman, poi semplicemente ribattezza “Wonder Woman”, è stata la prima donna a sconquassare il mercato editoriale fumettistico dell’epoca. Forte del nome e carica di tenacia, Wonder sfidò i nemici e la censura, i perbenismi e persino le femministe, che oggi rivalutando le caratteristiche e le idee di cui si è fatta portavoce, la reclamano come alfiere della perseveranza, simbolo di coraggio, giustizia e indipendenza. L’amazzone Diana Prince, meglio conosciuta come Wonder Woman, superando ogni aspettativa, diventa in quegli anni il simulacro delle convinzioni, una paladina della giustizia, la donna che si libera dalle costrizioni della società patriarcale, il riscatto sociale delle donne e dello stesso Marston: lo psicologo teorizzava infatti, l’intrinseca superiorità mentale delle donne rispetto agli uomini. “Il miglior rimedio per rivalorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di Superman e in più il fascino di una donna brava e bella.” (Charles Moulton)

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono gli anni della crisi del genere “supereroistico” e dell’affermazione del genere poliziesco-criminale o sentimentale; quest’ultimo è rivolto soprattutto ad un pubblico femminile adolescenziale e si serve di un linguaggio che rispecchia il gergo giovanile di questi anni o semplicemente una varietà linguistica giovanile. Un esempio celebre è “Diabolik”, ladro e assassino spietato e il famosissimo “Uomo ragno (Spiderman)” uno studente modello di nome Peter, che una volta punto da un ragno, decide prima di vendicarsi dei bulli per poi diventare famoso tramite un produttore televisivo che lo lancia con il nome di Uomo Ragno.

Gli anni Settanta rappresentano una svolta con il ritorno di temi e stili realistici nuovi e spesso incentrati sul vivere quotidiano normale”, nel quale in sostanza non succede niente, né avventure né drammi. Nel complesso, sono tendenze che, sia sul piano stilistico che su quello contenutistico, possono definirsi “minimaliste” e che si perpetueranno fino agli anni Ottanta e Novanta con la ricomparsa del tema fiabesco. Simbolo di questi anni è “Michael J. Doonesbury”, protagonista di un fumetto realistico e politico, alter ego dell’autore Garry Trudeau che lo ha creato nel 1968.

Il fumetto, dunque, nel corso dei secoli fino ad oggi, ha sempre rappresentato un mezzo comunicativo innovativo che ha coinvolto diverse fasce d’età, attraendo chiunque lo leggesse con temi di vario genere, offrendo inoltre una cultura nuova, instauratasi ormai nel nostro vivere quotidiano, che unendo arte e letteratura in un convivio perfetto, continua a stupirci meravigliosamente.