De André, quando i versi diventano note…

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(di Giorgia Giustizieri) – Musica e parole. Due elementi che, se combinati con armonia, ci regalano un binomio magico, un binomio che può diventare straordinario. Come quando De André canta Angiolieri.

Corre l’anno 1968, l’anno della rivoluzione, della ribellione. L’anno dei giovani, della libertà, l’anno del Volume III. È proprio all’interno di quest’album straordinario che De André, per la prima e ultima volta nella sua carriera, mette in musica un capolavoro della nostra letteratura: “S’i fosse fuoco” di Cecco Angiolieri.

La scelta non è casuale, la forza eversiva di Cecco si adatta perfettamente al clima rivoluzionario del tempo. Come i giovani del ’68 lottano contro il sistema, lanciando in modo irriverente una sfida per il cambiamento, così il poeta maledetto ante litteram attraverso i suoi sonetti sferzanti e anticonvenzionali condanna la società a lui contemporanea.

Ed ecco che viene fuori il genio di De André, il cantautore che riesce a tradurre il grido della protesta del poeta senese in musica. Attraverso una riduzione musicale vibrante, De André accompagna i versi di Angiolieri con il suono della sua chitarra, riuscendo a far combaciare perfettamente il ritmo degli accordi con il ritmo del sistema strofico del celebre sonetto. L’andamento serrato della prima quartina è accompagnato dall’altrettanto deciso ritmo delle battute musicali, come possiamo notare dalla corrispondenza fra quella che potremmo definire un’anafora musicale, costituita dalla ripetizione dell’accordo iniziale della chitarra accompagnato dai dolci arpeggi, e l’anafora, questa volta letteraria, di Cecco, “S’i fosse”.

Nella seconda strofa, De André rallenta il ritmo musicale simultaneamente al rallentare di Angiolieri, che dopo aver fatto corrispondere ad ogni verso un periodo ipotetico dell’irrealtà, inserisce solo due periodi ipotetici in quattro versi. Con le due terzine, il cantautore ci delizia con una meravigliosa sviolinata, la cui dolcezza è in aperto contrasto con i versi cantati, quelli che augurano la morte ai genitori di Cecco.

Infine, De André conclude il suo capolavoro con la ripetizione della prima strofa, questa volta con un ritmo leggermente più cadenzato. Il risultato di quest’armoniosa simmetria ritmica è che le parole del poeta e la musica del cantautore sembrano nate per stare insieme. Potremmo dire che nonostante la distanza di secoli, Angiolieri non avrebbe potuto sperare in un artista migliore per la messa in musica dei suoi sonetti: un duo che sicuramente avrebbe potuto far concorrenza alla coppia Battisti/Mogol.