Trump sceglie il verde… dei dollari

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LECCE (di Erik Bisconti, Alessandro Castriota-Scanderbeg e Pietro Rampino) – Noi salentini viviamo in un triangolo d’oro: Cerano, l’Ilva di Taranto e il futuro gasdotto TAP. Queste strutture possono sembrare innocue ai nostri occhi, ma generano delle importanti emissioni che si ripercuoto su tutta la penisola salentina. Ma possiamo ritenerci in parte fortunati: c’è di certo chi è messo peggio di noi, basti pensare alla Cina o agli Stati Uniti.

Negli ultimi giorni si è parlato molto dell’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Cosa si intende per “uscita degli Stati Uniti” e in cosa consiste l’Accordo di Parigi? Sono ormai note le intenzioni di neopresidente degli Usa, Donald J. Trump, che, sin dall’inizio del suo mandato del 20 gennaio di quest’anno, ha optato per politiche protezionistiche e finalizzate alla rinascita dell’industria americana, anche a costo di aumentare le emissioni di gas e, in generale, l’inquinamento. Invece non sono ben noti i motivi dell’uscita da tale accordo. Innanzitutto è doveroso elencare i punti che 196 paesi del mondo si sono prefissati durante la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21), la quale si è tenuta a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015.

L’obiettivo della conferenza è stato quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, accettato da tutte le nazioni. Tutti gli stati (o meglio quasi tutti: il Nicaragua non ha firmato gli accordi perché riteneva insufficienti le procedure previste per la salvaguardia ambientale, la Siria non si è espressa a causa della guerra civile tutt’oggi in corso) si erano dimostrati favorevoli a firmare tale accordo, e nessuno si sarebbe mai immaginato un dietrofront da parte del paese più sviluppato e potente al mondo, nonché il secondo produttore di CO2 al mondo. La massima cooperazione richiesta per accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra risulta ora limitata, considerando anche che l’accordo potrà entrare in vigore con la ratifica da almeno 55 Paesi, produttori del 55% delle emissioni globali. Inoltre l’uscita degli Usa scioglie il compromesso legato con la Cina, con la quale insieme generano il 38% di CO2 emessa.

I punti che per Trump sono risultati incompatibili con la sua politica protezionistica sono i seguenti:

  • Aumento della temperatura entro i 2°, il che significa riduzione delle emissioni a partire dal 2020;
  • Partecipazione globale, che comprende tutti i grandi produttori di CO2 (Cina, Stati Uniti, Unione Europea e India);
  • Periodici controlli ogni cinque anni a partire dal 2018;
  • Forti politiche mirate a utilizzare fonti di energia pulita, con cospicui pagamenti da parte dei paesi di vecchia industrializzazione per ridurre al minimo i consumi di CO2 e combustibili fossili;
  • Aiuti economici nei confronti dei paesi più esposti a cambiamenti climatici, e quindi a possibili ed importanti ripercussioni sul territorio e sull’economia (spesso queste nazioni non sono solo più esposti geograficamente, ma sono anche molto poveri).

Ovviamente non sono mancate le critiche a tali articoli, ritenuti da scienziati ed ambientalisti poco efficaci: la prima revisione, prevista per l’anno prossimo, ha consentito di inquinare normalmente per altri tre anni, stabilendo un nuovo record negativo che sarà difficile da contrastare anche con l’accordo stesso. Inoltre l’assenza di una data ultima per porre fine alle emissioni (voluta fortemente dalle compagnie e paesi produttori di petrolio e gas) e i controlli effettuati non da enti internazionali ma da ogni stato compromettono ulteriormente la già debole efficacia dell’accordo.

Sin dall’inizio del suo mandato Trump ha dimostrato di non interessarsi minimamente alle problematiche ambientali, e anzi ha incentivato l’attività industriale dannosa per l’ambiente. Volendo riportare la sua nazione al comando del mondo (quindi superando la Cina), il nuovo presidente americano crede che questo accordo danneggerebbe l’economia statunitense e che dovrebbe essere rivisto per renderlo più vantaggioso. Il miliardario ritiene tutto questo secondario ad altri problemi, e esige un accordo equo per gli americani. Ma un altro lato dell’amministrazione si dichiara contraria, viste le posizioni prese da autorità politiche e religiose e la pessima reputazione che si verrebbe a creare. Di certo questo scisma amministrativo (non solo riguardo questo fatto, ma diverse tematiche statali importanti) a livello mediatico crea una pessima impressione. Il presidente Trump però sembra abbastanza deciso di essere fedele alle promesse fatte in campagna elettorale. Di certo un uomo che non segue i consigli della comunità scientifica non è un uomo moderno, e non vuole il progresso della propria nazione e del mondo intero, ma anzi crea un repentino regresso che avrà conseguenze devastanti sulla biodiversità e sul genere umano.