Scacco Matto

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LECCE (di Sofia Martella) – Pedone prende pedone, regina in h5, SCACCO MATTO.

Elizabeth Harmon, da tutti chiamata Beth, è una bambina prodigio. Rimasta orfana all’età di nove anni, la sua vita prosegue tra le mura di un orfanotrofio, dove scoprirà il suo talento: giocare a scacchi.

È proprio grazie al custode dell’istituto, il signor Shaibel, che la ragazza coltiverà la sua passione per questo gioco così sofisticato. Dal momento in cui disputerà la sua prima partita, il custode, esperto giocatore, si renderà subito conto del fenomeno di ragazza che ha davanti a sé.

Nell’orfanotrofio Beth conoscerà anche Jolene, con la quale stringerà subito una forte amicizia. Però, sempre nell’istituto, incontrerà qualcosa che le farà del male: qui, infatti, gli istruttori sono soliti dare dei tranquillanti anche ai minori, da cui Beth diventerà dipendente. Ma saranno proprio questi farmaci che permetteranno alla campionessa di memorizzare tutte le partite, con le relative tecniche e ripeterle prima di una sfida “giocando sul soffitto”.

Crescendo, Beth affinerà sempre di più la propria tecnica, entrerà in contatto con diverse personalità nel mondo degli scacchisti, anche di fama mondiale, con i quali condividerà partite e amicizie.

Articolata in sette puntate, la miniserie proposta da Netflix, proviene da un romanzo, scritto da Walter Tevis nel 1983: The Queen’s Gambit” (La Regina degli Scacchi).

In un’intervista pubblicata su New York Times, l’autore afferma di essersi ispirato alla sua vita per scrivere il libro. Egli infatti cominciò a giocare a scacchi all’età di sette anni, insieme alla sorella. Una volta vinse un premio di $250 e diventò un giocatore di classe C. Da giovane inoltre gli fu diagnostica una malattia da cuore reumatico, per la quale è stato costretto ad assumere alcuni farmaci, e questo spiega la dipendenza dalla droga di Beth nel romanzo.

Tra un misto di genio e follia, Beth viene paragonata a diversi giocatori di fama mondiale, ma uno in particolare: Bobby Fischer.

La serie tv racconta la vita di Beth Hamon tra il 1958 e il 1968. Questo coincide con l’apice della carriera di Fischer: nel 1957 vinse il campionato statunitense a 14 anni, nel 1972 vinse il campionato del mondo a 29 anni e smise di gareggiare. Beth vince il campionato statunitense del 1967. Quello fu l’anno in cui Fischer vinse il suo ottavo e ultimo titolo americano.

Fischer era noto per essere un asociale: c’erano poche cose di cui gli piaceva parlare al di fuori degli scacchi. Beth è più simpatica, ma è impossibile non notare alcuni tratti simili.

Entrambi hanno una passione sfrenata per i vestiti: Beth investe molti soldi nel suo guardaroba. Fischer, allo stesso tempo, faceva realizzare abiti e scarpe su misura.

Sia l’Harmon che Fischer impararono il russo, sia per poter sconfiggere i giocatori sovietici, sia per essere in grado di leggere i giornali di scacchi russi, che erano considerati le migliori fonti di informazione.

Infine i due hanno stili di gioco simili e aggressivi. Quando giocano con il bianco e affrontano la difesa siciliana, infatti, attuano lo stesso sistema: l’attacco Fischer-Sozin.

L’autore dell’omonimo romanzo, inoltre, ha affermato: “Considero The Queen’s Gambit un tributo alle donne intelligenti. Mi piace Beth per il suo coraggio e la sua intelligenza. In passato, molte donne hanno dovuto nascondere il cervello, ma non oggi“.

La serie tv offre un importante spunto di riflessione nei confronti della disparità di genere nel mondo del lavoro e dello sport. Il New York Times in questo articolo ha chiesto a delle scacchiste professioniste cosa c’è di vero nella rappresentazione di Beth e l’ambiente maschile degli scacchi.

Judit Polgar, la più giovane scacchista a entrare nella top ten dei 100 giocatori migliori del mondo (a dodici anni, nel 1991, ottenne il titolo di Grande Maestro), ha definito la serie tv una “prestazione incredibile”. Guardandola, in lei sono affiorati diversi ricordi: la Polgar, come Beth, si è distinta nella sua carriera perché ha battuto regolarmente i migliori giocatori del mondo.

Un aspetto in cui però non può identificarsi è l’approccio avuto con i giocatori di sesso maschile. Questi infatti, cosa che non avviene nella serie, facevano spesso commenti sprezzanti sulle sue capacità e talvolta scherzi, poco divertenti bensì offensivi, o si rifiutavano di stringere la mano dopo una sconfitta. La giocatrice, a tal proposito racconta: “C’è stato uno che ha battuto la testa sul tabellone dopo aver perso”.

Lo stesso Fischer, il giocatore a cui Beth è stata paragonata, era spesso sprezzante nei confronti delle giocatrici. In un’intervista del 1963 disse che erano “terribili” e che una probabile ragione era che “non sono così intelligenti”.

È una serie che vi farà innamorare degli scacchi, da guardare in un soffio che vi farà tuffare nel passato, tra dolci nostalgie, amabili ricordi e piacevoli sorrisi.