San Martino: le origini, i riti e le tradizioni

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LECCE (di Sofia Martella)- La festa di San Martino si celebra l’11 novembre ed è una ricorrenza molto sentita in parecchi paesi italiani. La festa prende il nome da Martino di Tours, un vescovo cristiano che visse nel IV secolo d.C. Nacque in Pannonia, una regione dell’impero Romano corrispondente all’attuale Ungheria. Figlio di un veterano di guerra che, una volta raggiunta la giusta età, lo spinse ad arruolarsi come soldato scelto.

Quale membro dell’esercito romano, Martino venne spedito in Gallia dove avvenne un episodio che cambiò la sua esistenza. Secondo la tradizione infatti, durante una ronda a cavallo, Martino si accorse della presenza di un mendicante malato che tremava dal freddo. Mosso dalla compassione, tagliò il suo bel mantello rosso e una metà la donò al pover’uomo. Quella stessa notte gli apparve in sogno Gesù Cristo.

Dopo questo avvenimento Martino, che non era battezzato, lasciò l’esercito e intraprese il cammino della Fede divenendo un cristiano a tutti gli effetti. Come esemplare servo di Dio, viaggiò a lungo per convertire i pagani e diffondere il culto cattolico, soprattutto nelle campagne. Questa sua propensione ai viaggi lo rese il santo patrono dei pellegrini.

Martino divenne vescovo di Tours nel 371 d.C., anche se non tutti lo vedevano di buon occhio per via delle sue origini plebee. Come vescovo fece costruire monasteri, curò i suoi fedeli e, secondo la tradizione cristiana, compì diversi miracoli che gli valsero la beatificazione.

Alla sua morte, avvenuta l’8 novembre del 397 d.C., gli abitanti di Poitiers e Tours si contesero le spoglie, che furono trafugate da questi ultimi. I funerali si svolsero, però, tre giorni dopo la sua morte, l’11 novembre quindi, data diventata poi la ricorrenza ufficiale legata al santo.

Le celebrazioni di tale festa, tuttavia, non sono legate solo alla popolarità di cui il santo godeva nel Medioevo. L’11 novembre, infatti, coincideva con la fine dei festeggiamenti del Samhain, il capodanno celtico. La chiesa, pertanto, poiché nell’Alto Medioevo era ancora diffusa l’usanza di celebrare il Samhain, sovrappose il culto cristiano del santo a tali tradizioni celtiche.

La festa di San Martino era dunque una delle più importanti feste dell’anno durante la quale si mangiava e si beveva in abbondanza. Anticamente, infatti, il periodo di penitenza e digiuno cominciava il 12 novembre, ed era chiamato Quaresima di San Martino. L’allegria di questa festa era anche accompagnata dalla conclusione delle attività agricole d’inizio autunno, caratterizzato da un clima più mite durante la cosiddetta “estate di san Martino. Inoltre in questo periodo bisognava terminare il vino vecchio al fine di pulire le botti pronte così ad ospitare il vino novello, che al contempo si iniziava a bere, come recita il noto proverbio: “A San Martino ogni mosto è vino”.

La pietanza che maggiormente ricorreva nei piatti era l’oca che nelle case più povere veniva sostituita dall’anatra o dalla gallina. È stata scelta l’oca perché, secondo la tradizione, quando Martino venne eletto vescovo di Tours, si ritirò in campagna perché preferiva continuare a vivere la sua semplice vita monacale: furono le strida di un gruppo di oche a svelare agli abitanti Tours il rifugio del santo, che dovette così accettare l’incarico. La tradizione di cucinare l’oca è collegata anche ad alcune usanze pagane che rimandano alle celebrazioni celtiche, secondo le quali l’oca era considerata un animale sacro. Il volatile dunque non poteva mancare sulle tavole medievali, come mostra anche il Libro d’Ore di Laudomia de’ Medici, nel quale il mese di novembre è rappresentato con un cacciatore che rincasa dopo aver catturato tre anatre.

In molte parti d’Europa i festeggiamenti prevedevamo anche falò, processioni e scambi di regali. In alcune Regioni della Francia e della Fiandre era San Martino a portare i regali ai bambini, scendendo dal camino proprio come Babbo Natale.

Ma la festa di San Martino era una sorta di capodanno anche per le attività civili e lavorative: l’11 novembre scadevano infatti i contratti agricoli e d’affitto, e di conseguenza si svolgevano i traslochi, “fare San Martino” significava appunto traslocare.

A questa data si inspirò Giosuè Carducci scrivendo la poesia “San Martino. Questa poesia fa parte della raccolta Rime Nuove del 1887. Secondo alcuni critici, Carducci si è inspirato a due liriche di Ippolito Nievo che contengono alcune parole e immagini presenti in San Martino. Questa poesia evidenzia, in pochi versi, un confronto tra il paesaggio malinconico di una natura tempestosa e grigia, tipica della stagione autunnale, e la felicità del borgo che aleggia tutto intorno al poeta. L’atmosfera festosa della giornata deriva dalla festa di San Martino, che porta le strade a riempirsi del buon odore di vino e carne cotta allo spiedo. I pensieri di Carducci però volano lontano da questa atmosfera festosa e la figura del cacciatore, presente nella poesia, rimanda a quella malinconia iniziale, caratteristica dell’ora del tramonto e del volo degli uccelli migratori, che in questo caso sono come pensieri che vagano, simbolo di irrequietezza, affanno e insoddisfazioni tipici della natura umana.

Nel Salento, territorio in cui si la festa di San Martino è particolarmente sentita, le caratteristiche principali sono: il ritrovarsi in un ristorante o in casa insieme alla famiglia o ad amici; assaporare il vino novello, che si identifica nel più generico “mieru”, e alcuni piatti tipici salentini rtra i quali citiamo il laccio (sedano), le rape ‘nfucate (rape); le pittule (pallottole fritte realizzate con farina e acqua) e i turcineddhri (involtini arrostiti di interiora di agnello).